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Newsletter 56 - pdf - Novembre 2017




1917/2017: OTTOBRE

RECUPERARE IL SENSO DELLA STORIA
È INDISPENSABILE PER LA RIVOLUZIONE


No! Non c’è nulla da commemorare, nulla da imitare, nulla da rifare tale e quale, anche perché la freccia della storia non si ripete mai uguale, specie le rivoluzioni! Ma, fermi restando i giudizi ormai divenuti storici sugli insegnamenti di quella ondata che, durante e alla fine della prima guerra mondiale, determinò diversi punti di confronto del proletariato contro lo stato capitalista non solo in Europa, e si concretizzò, in quei dieci giorni che sconvolsero il mondo, nella rottura di quello che Lenin chiamò l’anello debole della catena dell’imperialismo nella Russia autocratica, così, pur apprezzando il tentativo di alcuni compagni (1) di trarre lezioni dal centenario della rivoluzione d’ottobre, voglio sottolineare che tali commemorazioni a parte le minoranze che fanno l’eccezione alla regola, sono sempre più destinate a far voce nel deserto. Semmai, resta tutto da studiare, da cima a fondo, in un contesto culturale come quello italiano in cui la formazione storica e il senso stesso della storia sembrano non solo smarriti nel loro contenuto formativo dal curricolo scolastico ma finanche dal bagaglio culturale degli stessi uomini politici borghesi. Per quanto resti sempre valido l’antico adagio, secondo il quale la storia è maestra di vita, anche se la vita cambia e con essa la storia, siamo ad uno svolto dei rapporti sociali in cui non sembrano esserci più interlocutori per rintracciare e condividere insegnamenti utili dai fatti storici. Questa, qui ed ora, sembra una società rassegnata all’eterno presente , schiacciata sul piano di questa stessa unica dimensione, in cui non ha senso il nesso col passato e col futuro, le cause e le radici, che non fanno neppure metodo di ricerca per le terapie del presente in cancrena. Finché questo andazzo coinvolge sempre più uomini politici con le loro conseguenti gaffe, come quelle della Fedeli che, fra le altre sconcezze, confonde Vittorio Amedeo di Savoia con Vittorio Emanuele proprio mentre a Cherasco rievoca un memorabile armistizio, il fenomeno rientra non solo e non tanto nell’ignoranza o non conoscenza del passato e dei suoi nessi vitali con l’esistenza, ma costituisce un segnale del generale degrado della burocrazia statale in un’epoca di putrefazione del capitalismo. Ma quando la bruttissima faccenda investe anche gli utenti del sistema formativo scolastico, dalle scuole medie fino alla laurea, o i lavoratori alle prese con la battaglia quotidiana per la sopravvivenza, la faccenda si complica anche per la classe che in qualche modo, almeno di diritto, se non di fatto, configura gli anticorpi di questo sistema sociale nonché di questa civiltà che sta smarrendo le proprie coordinate culturali dopo aver ridotto tutto a valori di scambio e tutti a individui consumatori. Quest’anno, il 1917, ci regala, e regala al 2017, proprio questa condizione di logorio estremo e diffuso del nesso con l’esperienza storica, che si riflette su tutti gli strati sociali aggravando ulteriormente l’isolamento e la frammentazione del mondo proletario rispetto al suo stesso carattere di classe universale. È capitato già in occasione della rievocazione di Caporetto: solite interviste ai passanti e davanti alle università: microfono alla mano e risposta esilarante dell’intervistato, da cui emerge non tanto e non solo l’ignoranza dell’evento storico, la «rotta» di Caporetto, quanto proprio l’incomprensione del termine “rotta”. Emerge anche il senso di totale assenza ed estraneità di fronte alle parole «rivoluzione ‘d’ottobre’»... chissà perché proprio ottobre ? …e così via. È così che diventa notevole e significativo che quest’anno, a rievocare l’evento che 100 anni fa cambiò il cammino della storia siano soprattutto i media mainstream, la cui sviluppata articolazione sta cambiando le stesse caratteristiche della lotta sociale. È così che si inventa un genere nuovo, la “Cronaca” – spettacolo giornalistica (come faccia ad esserlo 100 anni dopo sarebbe tutto da spiegare!) in 10 puntate di Ezio Mauro in tv con corredo multimediale di libro e DVD, che fa il paio con qualche pubblicazione di storici accademici in cerca di lettori occasionali, preventivamente confezionata a scopo commerciale, come ormai è prassi. Davvero di pessimo gusto, centrato sull’ammiccante biografia di sordidi personaggi alla Rasputin, con le sue trame e i sui suoi perturbanti risvolti sessuali e relativa odissea di una famiglia imperiale, con ingredienti della consueta fiction sceneggiata poliziesca a sfondo horror. Questo degrado culturale progressivo, unito all’uso della menzogna sempre più sofisticato e specialistico nella rete tendente a diventare l’unico mezzo per l’acculturazione delle giovani generazioni delle «app», favorisce anche la perdita di coordinate e di orientamento su ciò che è razionale rispetto a ciò che è falso. «I fatti hanno la testa dura», soleva dire Lenin, ma con quali mezzi di informazione e comunicazione vecchi o nuovi si possono ormai neutralizzare oggi le bestialità che vengono propalate non solo da politici ma persino da addetti culturali, e comunque dai manipolatori mediatici, il cui lavoro consiste nel rovesciare il senso stesso della storia, e così far apparire la rivoluzione bolscevica come una manipolazione della realtà? L’ex diplomatico russo Vladimir Fedorovski (1) spiega la canonizzazione dello zar Nicola II e dei suoi familiari in quanto simbolica, centrata sul rito e mito dei “martiri”, “massacrati” o “assassinati”, (non giustiziati!) dai bolscevichi, e naturalmente così fan tutti nell’intento di dare addosso a quello che chiamano senza alcuna informazione storica comunismo e trasformando i carnefici in martiri. Questa manipolazione, priva del benché minimo rispetto della realtà e della memoria storica, non si cura appunto di quei fatti che hanno pur sempre la testa dura, e che ricordano quello che i contemporanei d’allora sapevano benissimo, che questo «santo» e «martire» zar Nicola II, oltre al vizietto di fumare e si sparare ai corvi, divenne noto, non solo in Russia, per episodi come la Domenica di Sangue del 1905 a San Pietroburgo, quando, per suo ordine, l'esercito aprì il fuoco su una folla di centomila operai, e ciò gli valse il soprannome di “Nicola il sanguinario”, come sanguinario fu, nell’aprile del 1912, il massacro dei minatori della miniera d’oro della Lena, in Siberia, in sciopero. Ma l’impostura più sottile è quella di additare nel comunismo il responsabile di ogni nefandezza e individuare il così detto comunismo «reale» dall’ex URSS ai paesi dell’Est Europeo come la sede e la ispiratrice dei principi stessi del comunismo. Quanto questa identificazione sia falsa è attestato dallo stesso Vladimir Putin che, considerando la sua adesione al comunismo alla stregua di un peccato di gioventù motivato dal fatto che le sue idee erano somiglianti a quelle della Bibbia (3), in merito alla santificazione della a famiglia Romanov afferma: «Tutti accusavano il regime zarista di repressione. E tuttavia, cosa fece sin dall’inizio il potere Sovietico? Repressioni di massa. Non starò a parlare della scala, darò solo l’esempio più significativo: l’esecuzione della famiglia dello Zar con i loro bambini. Immagino che vi fosse una giustificazione ideologica nell’estinzione degli eredi. Ma perché uccidere il Dottor Botkin? Perché uccidere la servitù, gente di estrazione proletaria? Per quale motivo? Per nascondere il crimine».
dl (7.11.2017)
Note:
(1) Dictionnaire amoureux de Saint-Pétersbourg , Plon, Paris, 2016.
(2) In particolare gli articoli di LOREN GOLDNER: Agli estremi confini del centenario della rivoluzione d’ottobre: l’eredità del 1917 che possiamo rivendicare , in http://breaktheirhaughtypower.org/a... ; e MICHELE G. BASSO, Ottobre, in https://www.facebook.com/SottoleBan...
(3) Putin: Ecco cosa penso del Comunismo, intervista tradotta dall’inglese a cura di Marco Bordoni per Sakeritalia.it 
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